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14 mars 2011 1 14 /03 /mars /2011 09:00

 

 

 

il riciclo

Per ovviare ai sempre grandi problemi economici che accompagnano le attività scolastiche, si può ricorrere ad alcuni materiali di riciclo: in particolare per le lastre. Quelle di cartone ondulato si ottengono dai cartoni di imballaggio, il cartone grigio, compresso, spesso viene regalato  dalle cartolerie o i negozi di cartotecnica. Per le lastre di zinco o rame si possono richiedere gli scarti dai rivenditori di lamiere, che presentano forme diverse a volte anche molto interessanti. Lo stesso vale per il plexiglas che può essere recuperato in scarto  così come linoleum e materiali plastici con varie texture presso negozi e produttori specializzati.

 

 Se osservo dimentico, se faccio imparo diceva Munari ribadendo l’importanza della fase operativa, fondamentale nell’acquisizione della tecnica e di conseguenza per la padronanza del fare artistico. I bambini hanno bisogno di sperimentare, non solo perché   prosaicamente ad  ascoltare si annoiano, ma perché l’azione diventa un’ esperienza plurisensoriale che, indipendentemente dal risultato, arricchirà il bambino e il ragazzo. Il laboratorio di incisione necessita spesso di materiale particolare e di spazi, che però sono più facili- ed economici- da reperire di quanto si possa pensare.   Innanzitutto lo spazio: se non si dispone di un laboratorio, è sufficiente organizzare l’aula fornendola dei materiali necessari alla stampa e di elementi protettivi (i giornali quotidiani sono molto indicati) per preservare i banchi. E’ preferibile avere vicino un lavandino, necessario nelle operazioni di stampa calcografica, ma anche semplicemente per pulire i banchi su cui si è fatta la monotipia. I bambini e i ragazzi dovranno proteggersi gli abiti, perché l’inchiostro tipografico lascia spesso ricordi…indelebili. Il gruppo di lavoro può arrivare in una situazione ideale (spazi adeguati, due operatori, animosità del gruppo) ad un numero massimo di 15/20 persone.

Il materiale necessario varia secondo le tecniche: per i monotipi sono sufficienti le tempere e la carta (liscia, 80-100 grammi), per tutte le tecniche rilievografiche oltre che i supporti (cartoncini di vari tipi, polistirolo, plexiglas, linoleum, legno o quant’altro si voglia stampare), che spesso reperiamo di scarto presso negozi e produttori, sono sufficienti un rullo, gli inchiostri tipografici e una stecca per esercitare la pressione adeguata in fase di stampa. Le difficoltà maggiori (e qui parlo soprattutto in termini economici) si riscontrano  quando si vogliono affrontare le tecniche calcografiche: necessario è il torchio o più facilmente un tirabozze; rivolgendosi ad un negozio di belle arti o cercando in rete, possiamo facilmente reperirne uno scolastico relativamente economico; ci si può appoggiare anche ad uno stampatore, ma a parte il costo che può rivelarsi maggiore, i ragazzi non sarebbero più partecipi di tutte le fasi di lavoro.  Sono necessarie lastre di zinco o rame, anche queste reperibili presso un negozio di belle arti o, ancor meglio, presso un fornitore di lamiere, le punte per incidere, che possiamo ottenere molando l’estremità delle lime più fini in acciaio, un spatola di gomma e l’inchiostro tipografico.

Per sperimentare la tecnica occorrono pochi incontri: uno per “capire di che cosa si tratta” e preparare un disegno, uno per incidere e uno per stampare. Naturalmente questo è il numero minimo, maggiori sono i laboratori, più alta è la possibilità di capire la tecnica e le sue possibilità espressive. Gli incontri possono durare  un’ora e mezza o due. Ritengo che  per capire a  fondo una tecnica sia utile “copiare”,   e cioè confrontarsi con un modello guida che propone soluzioni per affrontare un determinato soggetto, ma l’esperienza completa si ha quando il nuovo linguaggio espressivo diventa potenziamento della comunicazione verbale. A tal proposito, tornando al pensiero di Pareyson, è interessante  l’idea di imitazione a cui viene attribuita un importanza essenziale in quanto non solo l’artista si confronta con ciò che  gli “artisti degni del nome” hanno prodotto, ma permette la “continuità nell’originalità e l’originalità nella continuità”, in cui l’opera non solo suggerisce gli spunti operativi, ma  regola e ritma i processi formativi. L’artista in questo caso non imita sterilmente l’opera, ma “la rende feconda nell’atto stesso che se ne fa erede”.

  Racconto, resoconto di un fatto, segni astratti  volti ad esprimere l’emozione di una poesia, una canzone, un’emozione. La tecnica ha la possibilità e il “dovere” di diventare espressione, per non cadere nell’appagamento di una superficiale curiosità. Il lavoro è lungo e sicuramente più complesso: pensare presenta molte più difficoltà che copiare. Utile si mostra l’interazione fra le varie discipline, un lavoro a priori con l’insegnante di lettere nella scuola media, per capire un argomento, approfondire un racconto, o nella scuola materna e elementare inventare una storia, ascoltare un brano, parlare di una gita appena fatta e poi rappresentarla, capirla, esprimerla attraverso il segno. 

 

Da “ I bambini e la grafica” leggiamo ancora che è compito dell’animatore o dell’insegnante “dedurre dalla materia espressiva dell’infanzia quelle costanti linguistiche su cui agire perché le ritiene predominanti e caratterizzanti le vere forme evolutive del ragazzo verso la fase della sintesi”e si evidenzia  il fatto che la rappresentazione grafica o pittorica  non ha senso in funzione pedagogica se non si sviluppa  in ulteriore fase conoscitiva della realtà.. gli  operatori ribadiscono che l’educazione artistica si presenta subito, al là di ogni estetismo come laboratorio di ricerca in cui si studiano i linguaggi grafici, se  ne indagano le capacità espressive , se ne valutano i rendimenti in base alle finalità educative.

 Ricordando che la produzione artistica del bambino è l’espressione di un processo evolutivo in atto e il linguaggio artistico deve concorrere insieme a quello logico/verbale per un’espressione globale del mondo infantile.

E  il disegno in sé può essere  un linguaggio formalmente esauriente il contenuto del proprio messaggio messo in funzione di  attività di drammatizzazione, di attività ludiche, di ricerche come già si è scritto senza perdere la propria intrinseca validità.

 

libro silografico

E’ interessante leggere a tal proposito il resoconto nella relazione introduttiva de “I bambini e la grafica” in cui gli artisti documentano il lavoro quotidiano in modo attento e acuto, si rafforza la convinzione che per fare emergere realmente la creatività esistente di ogni individuo, occorra prima un minimo studio,  e una programmazione dell’attività da svolgere: il progetto del disegno, la preparazione della matrici, la conoscenza del materiale di lavoro, il lavoro e la fase conclusiva della stampa tenendo presente due fattori fondamentali,  innanzitutto che anche le prime fasi di lavoro devono tenere presente tutte le altre cercando di immaginare e prevedere la soluzione finale- consci che la componente casuale concorre di pari passo insieme al nostro lavoro- e poi che non bisogna mai dare troppa importanza al risultato finale, sapendo che ogni singola fase è esperienza e conoscenza. Ricordando Munari: la creatività si sviluppa provando, fornendo da parte nostra i mezzi e spiegandone l’utilizzo, ma incoraggiando la sperimentazione senza concentrare troppo le aspettative sulla stampa in sé che, se mal riuscita, creerebbe delusione scoraggiando il bambino o il ragazzo.

 

La creatività va stimolata e accompagnata, seguita, il compito più difficile è quello di osservare e lavorare insieme i ragazzi, spronandoli a pensare, a organizzarsi il lavoro evitando di

 

  proporre le attività dall’alto, cosa più semplice certamente, magari anche di miglior riuscita, ma sicuramente meno importante nella formazione di una persona se, con i nostri laboratori vogliamo andare oltre la produzione artistica fine a sé stessa. E questo vale certo per tutte le attività espressive.

L’esperienza dovrebbe essere gestita dai ragazzi stessi che naturalmente ne trarranno una soddisfazione non indifferente. Uno dei primi laboratori d’incisione, ricordo, era tenuto in orario extrascolastico, interamente gratuito per i ragazzi della scuola media che lo avevano scelto, e si era protratto fin quasi a giugno, in una località balneare; il novanta per cento dei ragazzi ha seguito il corso fino alla fine occupandosi non solo dell’attività di stampa, ma anche della produzione del catalogo e l’allestimento della mostra dei loro lavori.

 Facile immaginare la gratificazione di tutti noi, da questa impegnativa e bellissima esperienza.

Molti artisti che si sono cimentati nelle tecniche incisorie, hanno portato avanti di pari passo la ricerca con la tecnica dell’acquarello: Dűrer,  Morandi, Rouault. Un’apparente incongruenza: il segno da una parte, raffinato o rigido, il colore dall’altra, aereo e impalpabile. Ma una cosa li accomuna: la progettualità, entrambi sono gesti senza possibilità di correzioni, la matrice così come la carta da acquerello ricevono un segno, e qualsiasi ripensamento anche se possibile sarà palese e inevitabilmente comprometterà il lavoro. Questo imparano i bambini, che è necessaria un’organizzazione precedente, una conoscenza a priori del lavoro. Per questo motivo l’incisione e la stampa sono proposti dalla scuola steineriana come terapie artistiche per i casi di dipendenza, o per le persone che necessitano di affermare la propria personalità: attraverso la progettualità del lavoro si impara a progettare la persona. 

 

 

la stampa nelle situazioni di disagio

Mi è capitato  di lavorare con ragazzi diversamente abili, sperimentando l’incisione rilievografica su matrici di cartone. Il cartone permetteva, dopo aver disegnato il soggetto sulla superficie e dopo un’incisione dei contorni da parte dell’operatore, di strappare le parti in cavo, facilmente e senza alcun rischio. I soggetti un po’ magici, successivamente inchiostrati e stampati dai ragazzi, aiutandoli così ad educare la manualità, acquistavano grazie a questa tecnica una notevole forza espressiva.

 

 

 

  

Ne “I bambini e la grafica”, viene evidenziato il rifiuto della divisione del lavoro e la necessità avere una conoscenza totale, fisica, del lavoro. Tutti i momenti della tecnica vanno vissuti in prima persona, e solo pochi elementi accettano la divisione del lavoro. Osservando che “nell’età infantile più vicina allo stato di natura, per dirla alla Rousseau, si è maggiormente disposti al lavoro artigianale cioè a quel lavoro che permette di eseguire tutte le fasi della realizzazione del pezzo piuttosto che a un operato che si basi sulla conoscenza parziale delle fasi della costruzione di un prodotto. Vive cioè nel ragazzo sin dalla tenera età l’esigenza di realizzare la propria personalità nel modo più completo possibile. “Un lavoro completo che va di pari passo con l’evoluzione del ragazzo che misura le capacità del proprio corpo in rapporto con l’ambiente che lo circonda.”

Il processo lavorativo è vissuto dai ragazzi quasi di pari importanza alla fase del disegno, come del resto dovrebbe essere , perché ogni fase preparatoria, è veramente propedeutica all’opera grafica, ogni errore o imperfezione si ripercuoterà sul risultato finale.

Per i ragazzi  tutte le parti operative vanno messe sullo stesso piano; la manualità della preparazione di una lastra che, arrivati ad una certa età, e con il tempo a proprio favore, potrebbe ampliarsi nella preparazione del materiale di lavoro (molature delle lastre, preparazione artigianale di inchiostri e vernici), servendosi dei vari metodi lavorativi consci di tutte le possibilità offerte e scegliendo successivamente quelle che maggiormente  soddisfano.  “Un lavoro a misura d’uomo alla scoperta del costruire con le proprie mani” e ancora “usando metodi e contenuti idonei per la riscoperta del mondo della manualità: si afferma con ciò la nostra umanità.”

L’organizzazione del lavoro si fa durante il laboratorio e nasce dall’osservazione attenta delle azioni e la conseguente proposta del successivo lavoro. Un’osservazione che non giudica favorendo la massima libertà creativa supportata dalle regole che impone la tecnica per favorire il “naturale codice di comunicazione che viene a emergere nell’attività artistico- creativa” cercando di curare comunque l’aspetto qualitativo, fornire i mezzi per capire cosa è la bellezza intesa come dice Pareyson nella forma che ha completato il suo processo evolutivo, un processo compiuto ma comunque in possibile evoluzione.

Il laboratorio, dicevo è dunque un’esperienza plurisensoriale dove prima dell’occhio che soprintende alla nascita del disegno, entrano in campo l’olfatto scosso da quell’odore di petrolio che investe le classi non appena varcano la soglia del laboratorio, il tatto che percepisce il calore dei vari materiali,  e si accorge quando il dito scorre senza ostacoli sul bordo di una lastra correttamente “bisellata”, l’udito che da conferma della giusta quantità di inchiostro raccolta dal rullo, e poi ovviamente la vista che non solo permette il disegno, ma controlla le giuste quantità di colore in un monotipo, un lastra adeguatamente preparata e sgrassata. Una manualità indispensabile, proposta e richiesta dai ragazzi, in un mondo dove non solo il lavoro, ma anche il gioco si svolgono su piani intellettuali.

 

I ragazzi cercano  loro stessi il lavoro manuale, lo  curano in tutte le fasi di preparazione della lastra, sono attenti alle stesure dell’inchiostro, hanno bisogno di seguire il procedimento nella sua interezza e nella sua fatica  per capirne a pieno il significato.

Faeti, nel bellissimo “la via della sgorbia” scrive: “Non so veramente nulla, mentre scrivo, di quale possa essere oggi, con tanti strumenti nuovi a  disposizione il rapporto educativo del bambino con il fare. Continua ad esistere però in me la persuasione della necessità di una presenza di lavoro vero, con antica manualità, con fatica, con senso di responsabilità con desiderio di progetto. E ritengo ancora che una manualità continuamente educata sia sempre indispensabile. So quanti esiti  negativi, in molti e vari campi, possa eseguire il maldestro. E rammento due grandi classici amati dai giovanissimi lettori: Robinson e l’isola misteriosa. Proprio mentre si palesano i primi ritmi, i primi telai, le prime officine, i primi turni, le prime parcellizzazioni della prima rivoluzione industriale il solitario dell’isola ricomincia a plasmare  vasi a intrecciare canestri, a cucire un abito. Tante infanzie hanno espresso, attraverso l’amore per Robinson, che, ovviamente non era e non è un libro per bambini, il desiderio di fare come lui ovvero di riprendere il proprio destino, letteralmente con le proprie mani.”

 

A mio parere, senza nulla togliere all’importanza dell’opera unica, intesa come tecniche grafiche e pittoriche, la stampa, dalle sue forme più semplici a quelle più elaborate, presenta un altro elemento non trascurabile, nello sviluppo mentale e creativo del bambino: la ripetizione dell’immagine. Un’azione che porta oltre, rispetto al segno sul foglio: la matrice, di cartone o zinco, o anche il dipinto su superficie impermeabile del monotipo diventano il lavoro che poi si riprodurrà più volte sul foglio.  Non solo: se noi sfruttiamo come matrici i materiali con una loro ruvidità o dei loro segni, possiamo leggerne tramite la stampa un’altra loro forma , il loro negativo. L’uomo interviene sulla matrice: la scava, la graffia, la matrice interviene sul foglio, lo segna con la sua impronta, un’impronta riproducibile, una  due, cento volte.

matrice e stampa

 La riproducibilità, proprio intesa nei termini proposti da Walter Benjamin,  aveva allora agli occhi dei bambini un grande fascino. C’era in essa, la conquista di un’autonomia, c’era la consapevolezza che una tempera un acquerello insomma i “pezzi unici” non potevano essere usati come una linoleografia. Incerta, faticosa, sofferta, sorprendente perché il risultato finale meravigliava soprattutto l’autore, la linoleografia si espandeva, cercava molti occhi e molte mani, comunicava in direzioni non prevedibili e tuttavia   assegnare a se stessi un controllo rigoroso: questo misterioso connubio portava frutti, rendeva esemplarmente preziosa l’esperienza, consentiva di utilizzarla anche in altri ambiti”A. Faeti.

 

Poi quello che ho prodotto diventa spunto grafico per altre invenzioni: creative se ad esempio stampo la lastra a rilievo  su un collage  di carte o stoffe, più vicine alle arti applicate se la mia lastra diventa mezzo per decorare un tessuto creare dei biglietti augurali o  ex-libris. Il segno della matrice, ripetendosi, diventa elemento decorativo, suggerire nuove composizioni grafiche. La matrice, diventa a sua volta un elemento che va oltre l’effimero del disegno e ne conferisce  importanza e durevolezza, oppure diventa essa stessa opera d’arte,  come propone Adriano iculeh, artista incisore milanese, le cui matrici  raffinate e precise sono bellissime opere che non richiedono più di essere stampate.

Siamo alla base della riproducibilità dell’immagine quella che si evolverà nei libri, la fotografia, gli audiovisivi, il computer.

 

Grandi e piccoli, nessuno riesce a sottrarsi al fascino, alla trepidante attesa, di vedere “cosa è uscito” da ore di tanto lavoro. Anche se proclamiamo l’importanza di tutte le fasi operative, alla fine quei pochi minuti che passano tra la sovrapposizione del foglio su qualsiasi matrice e il momento in cui il foglio viene sollevato per osservare il risultato conseguito, vengono  vissuti da tutti (compreso l’educatore)  col fiato sospeso.  Il clima di attesa va seguito  e stimolato dall’insegnante, è emozionante alzare il foglio e scoprire la riuscita del proprio lavoro  e perché non sia troppa la delusione di  una stampa mal riuscita, occorre ricordare sin dall’inizio, non solo l’importanza di ogni fase, ma anche e soprattutto che l’arte della  stampa, in ogni sua flessione, è un’arte di infinita pazienza, in cui ogni artista si è trovato di fronte a stampe mal riuscite e a matrici che ha dovuto rivedere, correggere, rifare.

 

 

 

 

 

 

 

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